Migranti e Territorio
C’è un nesso, a volte assai indegno e spiacevole, tra migranti e territorio. L’agricoltura è infatti un settore in cui molti migranti trovano impiego, ma dove anche – troppo spesso – si scoprono pratiche di sfruttamento e caporalato. Noi di InCampagna ne siamo consapevoli e abbiamo deciso di approfondire il tema immigrazione nel modo più serio e professionale possibile. Parlare di dati ci è sembrato un buon punto di partenza.
L’attuale fenomeno migratorio è considerato come la peggiore emergenza rifugiati dalla fine della Seconda guerra mondiale con 362.753 persone fuggite verso l’UE attraversando il Mediterraneo nel solo 2016, di cui 5.022 risultano disperse o decedute.
Secondo Oxfam, lungo le rotte migratorie nel mondo morirebbe 1 persona ogni 80 minuti ed il mediterraneo risulta essere la rotta più letale. I numeri sembrano essere tutti in difetto, essendo realmente difficile calcolare precisamente quanti intraprendano la migrazione e quale sia il loro destino. E se il mare è certamente un tragitto pericoloso, che dire delle traversate dei deserti fatte ancora prima di raggiungere il mare? Anche qui Oxfam ci ricorda che secondo alcune stime il Sahara sia ancora più letale del Mediterraneo nei viaggi per l’Europa.
Prima di parlare di numeri, è importante fare qualche precisazione e qui il Parlamento Europeo ci viene nuovamente in aiuto. Tra i migranti ci sono infatti i richiedenti asilo, coloro che temono per la propria vita nel proprio paese di origine e per questo chiedono asilo in un altro; ci sono i rifugiati, persone con fondata paura di essere perseguitati per motivi di etnia, orientamento politico e per qualsiasi altra forma discriminatoria; e poi ci sono i migranti illegali, che – attenzione! – migranti da espellere,perché in questa categoria ci sono persone che possono anche non essere prese in carico dall’Europa per motivi come una mancata registrazione o per un avvenuto passaggio in un altro Stato, diverso dal paese in cui era stata effettuata la domanda. Tra il 2015 e il 2016, più di 2,5 milioni di persone hanno richiesto asilo e sempre nello stesso periodo circa 1,6 milioni di decisioni di asilo sono state prese dalle autorità degli stati membri, con una percentuale alta di esiti positivi – sempre più del 50%. Per quanto riguarda i migranti illegali – e ricordandoci le precisazioni prima fatte – le rilevazioni hanno individuato la presenza di 2,2 milioni di persone nel 2015 e di quasi 1 milione nel 2016. E di espulsioni ce ne sono state anche, con quasi 1 milione di persone con ordine di espulsione dal paese per un rifiuto delle domande di asilo; solo la metà ha però lasciato il paese.
Dare un’occhiata ai dati può aiutarci a contestualizzare il fenomeno e a riflettere meglio su quello che accade intorno, trovando spunti per azioni costruttive e ragionando su possibili sinergie nella ricerca di soluzioni.
Che l’opinione nei confronti dei migranti non sia delle migliori non è una novità. Tralasciando le politiche intercorse a livello istituzionale e ai vertici alti, i sondaggi effettuati tra i cittadini europei indicano una richiesta altissima alle istituzione di fare di più in tema immigrazione. In Italia l’opinione è analoga e forse anche più inasprita e propendente allo stop totale dei flussi e ai blocchi navali. Gli italiani poi vedono sempre meno i migranti come risorsa (il 35% al luglio 2017), con un inasprimento del giudizio che coinvolge maggiormente le fasce più svantaggiate, come le classi medio-basse e le terre meno sviluppate economicamente come il Sud e le Isole.
E in effetti per noi isolani siciliani tali risultati sembrano rispecchiare la realtà, con la presenza di esperienze virtuose a supporto di una integrazione dei migranti nella comunità e, contestualmente, un sentimento diffuso di astio verso lo straniero, visto come una minaccia per il presente e il futuro degli abitanti in difficoltà;nonché di atteggiamenti di sfruttamento concreto, particolarmente in ambito agricolo, che confermano il fenomeno migratorio come un’altra tratta degli schiavi in corso.
In questo contesto, che sembra dimostrare ancora una volta le difficoltà di un Sud sempre precario, un articolo di Altraeconomia ci viene incontro sintetizzando i risultati dello studio“Migration Observatory’s Report: Immigrants’ integration in Europe” e mostrandoci almeno due punti importanti.
Il primo punto è che, citando testualmente, “nei Paesi mediterranei più di 4 stranieri (persone non nate nel paese in cui risiedono) su 5 sono arrivati da oltre 5 anni“. Dal 2011, inoltre, Italia, Spagna, Francia e Grecia registrano il minor numero di nuovi arrivati in rapporto alla popolazione. Tale informazione sembra dimostrare una tendenza di non poco conto e cioè che i migranti cercano posti dove possano trovare una possibilità di vita regolare. In Italia, vanno più al nord – come dimostrano i dati riaggregati dalla Fondazione con il Sud per la sua iniziativa Immigrazione 2017; e possibilmente lascerebbero anche il nostro paese se ne avessero la possibilità.
La seconda si riferisce alla qualità della forza lavoro, che risulta essere strettamente correlata al livello di istruzione del paese di residenza. Questo significa che migranti con un alto livello di istruzione si dirigono e risiedono in paesi con un livello medio di istruzione elevato, come la Gran Bretagna o la Germania. Sotto questo punto di vista, il report del Migration Observatory rileva che l’Italia mostra la seconda più alta percentuale di migranti con educazione primaria (47%) e la più bassa percentuale di migranti con educazione terziaria (12%). Quindi se l’Italia attira i migranti con un livello di educazione più basso, la motivazione va anche rintracciata nel livello di istruzione a livello nazionale. Della serie, bassa istruzione noi, bassa istruzione loro.
Ricapitolando, e come sempre quando parliamo di fenomeni complessi, cause ed effetti non stanno mai da una parte. Il tema migrazione, oltre che con una dimensione internazionale, si intreccia fortemente con lo stato del nostro paese Italia e, ancora di più, con la nostra travagliata Sicilia.
I dati disponibili ci mostrano un quadro difficile in termini di gestione operativa del fenomeno, in termini di accoglienza, nonché di interrelazione con le scelte strategiche nazionali effettuate in ambiti apparentemente diversi – come l’istruzione – ed indirizzate all’intera popolazione, senza alcuna distinzione di sorta. Le soluzioni non sono facili ma certamente richiedono collaborazione e, ne siamo convinti, una visione più lungimirante, tutta dedicata ad uno sviluppo integrato e solidale del territorio.
E con questa aumentata consapevolezza noi di InCampagna ritorniamo a lavorare le nostre terre, pronti a partecipare a qualsiasi progetto agricolo che supporti tale visione.
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